Tonina Garofalo
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Cesare VivaldiPittura tipicamente «Postmoderna» La Garofalo, benché giovanissima e alle sue prime mosse in campo propriamente professionale, dimostra già una maturità sorprendente nel concepire la pittura come esplosione di energie cromatico-luminose e nell'adeguare a tale concezione i mezzi espressivi, con una totale sintonia di colore e materia, di irradiamenti luministici e di moti del pennello; e in più con un'ansia specificamente sua di estendere il rapporto spaziale interno al quadro oltre i confini della tela, "attivizzando" quindi lo spazio esterno alla tela medesima, ansia che in modo assai originale tiene conto delle esperienze artistiche più recenti. Poiché per la Garofalo la pittura non è semplicemente rappresentazione, sia pure dei moti interni dell'animo, di emozioni, di memorie, di sentimenti (come lo è di molta arte non figurativa), ma esige il coinvolgimento dello spettatore, la sua partecipazione è attiva alla dinamica dell'opera. Il quadro diventa così il centro in cui eventi spaziali si coagulano e dal quale si irradiano in forma, per l'appunto, di energia cromatico-luminosa. Sulla tela la Garofalo crea dei vortici, dei guizzi di colore-luce che non hanno solo una funzione espressiva ma mirano a estendersi tentacolarmente nello spazio e a prolungarsi sino all'occhio di chi guarda. Non si tratta, come proponeva Boccioni, di mettere lo spettatore al centro del quadro ma di far sì che il quadro non comprima in se stesso la propria energia spaziale ma la estenda a tutto l'ambiente nel quale è posto, inglobandovi lo spettatore e chiamandolo, in un certo senso, a collaborare, a reagire più o meno consapevolmente a sollecitazioni così vigorose, a viverle. Come ognuno vede, entriamo qui in un ordine di problemi straordinariamente attuali, non troppo diversi da quelli messi sul tappeto dall'arte di "environment", da Fontana in avanti, o persino dagli " happenings". Problemi cioè di spazio-ambiente, di sincronizzazione totale tra artista e fruitore eccetera eccetera. Ma il fatto è che la Garofalo mira a definire e a risolvere tali problemi senza evadere dal mezzo strettamente pittorico, senza scadere cioè, come spesso avviene, nella scenografia o nell'arredamento. Il quadro, come ho detto, esce dai confini ristretti della tela dipinta, ma rimane pur sempre tela dipinta, rimane pur sempre quadro: una superficie sulla quale si determinano eventi destinati a travalicarla, ma senza la quale nulla potrebbe accadere. La foga con cui la Garofalo affronta questioni così complesse raggiunge, nei quadri esposti, risultati già maturi e convincenti. Si tratta di una giovanissima che veramente dimostra di sapere bene ciò che vuole e che procede sulla strada scelta con rara determinazione.
Dal catalogo della mostra a Roma alla Galleria Russo di Piazza di Spagna (1974).
Conosco Tonina Garofalo da quando frequentava l'Accademia di Belle Arti di Roma e ne ho seguito le prime apparizioni pubbliche tra il 1974 e il 1977. Poi Tonina si è ritirata in sé stessa, intenta soprattutto alle proprie vicende esistenziali, ed è maturata in silenzio, approfondendo le proprie ragioni pittoriche nel più salutare isolamento; con l'unica eccezione, se di eccezione si può parlare, di una piccola mostra tenuta nel 1980 in un paese di Calabria. Ed ora eccola ripresentarsi con una pittura assai più complessa di quella che si conosceva, nel senso che senza assolutamente contraddire le vecchie impostazioni cromatiche e spaziali ma, anzi, ad esse tenendo fede, tale pittura è arrivata a riappropriarsi della figurazione e della narratività ed è approdata a modi non lontani da quelli di tendenze attualissime come la "transavanguardia". Se prima la Garofalo concepiva sostanzialmente il quadro come centro in cui si coagulano eventi spaziali e dal quale si irradiano gli stessi eventi, in forma di energia luminosa, di guizzi, di colore, luce, anche nello spazio esterno al quadro medesimo, ora finalizza questi eventi in senso figurativo e narrativo, liberando l'energia plastica in "favole" fantasiose e misteriose. Naturalmente, non mi si fraintenda, questo recupero narrativo non significa affatto un puro e semplice ritorno al quadro "di genere" e alla pittura tradizionale. Si tratta, al contrario, di una figuratività che narra per "simboli", e che quindi non è affatto effusa e distesa, bensì ellittica, capziosa, proprio per questo capace di isolare particolari estremamente significanti e di convogliarli, al fine di costringerli a significati di estrema densità, nell'evento spaziale. Ne viene fuori un'appassionata, procellosa animazione di gesti e volti, di figure e di silenzi, con una compresenza di stili e di modi espressivi tipicamente "postmoderna". Così un limpido e sereno viso di donna può sovrapporsi ed entrare in contrasto dialettico con forme astratte scagliate veementemente nello spazio, così un paesaggio conturbante e roso dalla luce può enuclearsi da un turbine di segni e gesti come la visione circoscritta dal tubo di un cannocchiale o di periscopio. E tutto ciò, sempre, entro quella concezione del quadro come evento spaziale che la Garofalo è andata proponendoci sin dai suoi esordi. T Garofalo è ancora giovanissima e la sua evoluzione non si è certamente ancora compiuta. Ma a una prima maturità ella è comunque arrivata, nel senso che i risultati raggiunti confermano le speranze dei suoi inizi e fanno persuasi della sincerità di una vocazione già solida anche se, come ovvio, ancora in progresso. Sono felice di poterlo confermare, a sei anni di distanza (e per un giovane sono tanti!) dalla prima volta che ebbi a occuparmi del suo lavoro.
Dalla presentazione delle mostre al Centro Culturale "La Sponda " di Roma (1983) e al Centro Studi "L'Esagono"di Lecce (1984).
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© Tonina Garofalo 2008 |