La tensione del segno in Tonina Garofalo
L’antologia di Tonina Garofalo è sorretta da una rigorosa impalcatura grafica e lineare, anche quando l’artista fa immergere il pigmento colorato da quelle “calde intimazioni” che appartengono alle istanze barocche, sia per la spazialità gremita e intensa, sia per certi impasti sensuosi e drammatici.
L’impianto disegnativo sfugge però alla condensazione della materia pittorica e tende invece per la sua natura ad essere lineare e perciò significante. Infatti l’artista nella sua pittura, come del resto nella tecnica mista, dimostra di volere incarnare, in un motivo insieme espressivo e tormentoso, l’idea della natura, della forma conclusa, per cui, mentre la forma sensibile si tramuta in un tormento creativo, il suo segno conferma invece una rigorosità che corregge l’emozione. In effetti la mano della pittrice è avvezza alla lunga pratica disegnativa, per cui la delineazione della linea appare scoperta, anche quando è imbrigliata nella materia surriscaldata da sentimenti e da travolgimenti emozionali, con il risultato che il suo esercizio mentale e il suo “far di pratica” si tramutano in un tutt’uno selettivo e insieme comunicativo, figurativo e insieme astratto, lineare e insieme volumetrico.
E risaputo che per il pensiero critico moderno, che ripete peraltro un concetto vasariano legato all’idea e alla forma delle cose, il disegno è appunto, un’idea «incarnata in una forma sensibile”. D’altra parte Filippo Bandinucci, fiorentino, alla voce “Disegnamento» del suo «Vocabolario toscano d’arte del disegno», scriveva che quest’ultimo è «un’apparente dimostrazione con linee, di quelle cose, che prima l’uomo coll’animo si aveva concepite, e nell’idea immaginate; al che s’avvezza la mano con lunga pratica ed effetto di far con quelle cose apparire». Il concetto è stato portato – com’è risaputo – alle estreme conseguenze dai contemporanei, quali, dopo aver liberato la grafica della dipendenza della figuratività, hanno sanzionato l’estrema autonomia creativa del «disegnamento», cioè del «segno scoperto», confermando, non troppo paradossalmente, la sintassi e le metafore proprie del disegno antico.
E infatti se la rappresentatività pittorica, cioè, figurale e sensibile di Tonina obbedisce alle metafore proprie dell’arte post-classica, insieme manieristica e barocca, in effetti l’essenzialità del mezzo tecnico è legato al disegno, sicché il ritmo della linea e del segno si tramuta in grafica emozionale e significante, anche quando sembra privilegiare il «fare» creativo tradizionale, con una punta di diversità (la donna di fattura esoterica, le impalcature e gli architravi a tutto tondo, le ringhiere aggrovigliate come rami e arbusti), in effetti
svolge con sensuosità i simboli sottesi ai segni, senza sottostare ai vincoli dell’originario prestabilito dalla logica e dalla visività tradizionali. Trova cioè nel fare, nel groviglio dei segni e delle tinte spezzate e vivaci dell’acrilico, il significato e l’orditura del suo sperimentare. Se gli antichi dicevano: «Se vedo ricordo, se faccio capisco», Piranesi affermava invece che «Con lo sporcar io trovo».
Ed ecco il significato che occorre dare allo «sporcar» fitto e cromatico del segno di Tonina Garofalo: trovare la ragione di una sperimentazione e nello stesso tempo spezzare quel rispetto della figura tradizionale «tutta finita» e conclusa nell’intrico dei segni e nella selva della pigmentazione sensuosa e dinamica insieme. Se «coll’animo» Tonina Garofalo ha concepito l’idea primigenia delle cose, la mano «avvezza alla lunga pratica», la porta invece a quella tensione sperimentale, che coglie di volta in volta il ritmo (e il significato) della grafia-segno e perciò riconduce la sua rappresentazione fuori di ogni valenza stilistica preordinata e conosciuta. Soprattutto fuori dalla tentazione citazionistica di una classicità ridotta a schema mentale senza tempo e senza storia. Non certamente fuori del nostro turbamento moderno.
“Idea”. Roma gennaio 1989. (È il testo con cui L. Tallarico ha aperto gli interventi critici per la mostra dell’artista al “Quadrato di Idea” nella stagione ¡988).
Galleria La Pigna 21 settembre 2007
A nome della Galleria La Pigna, siamo lieti di salutare un’artista poliespressiva che viene tra noi dalla città di Cosenza, la patria di Bernardino Telesio, il filosofo che si è impegnato a unificare “le due anime” del pensiero italiano, tra la scienza di Galileo e la fantasia di Vico, per confermarci che le due forze dei contrari della sua arte sono sintonizzate all’unità espressiva, sia in relazione ai valori della pittura che in quelli della poesia, entrambi praticati da Tonina Garofalo.
Infatti l’artista, come è stato accennato nella nota, di presentazione, affida la sua vocazione alla linea astratta delle origini bizantine calabresi, per liberare le immagini dalle sovrastrutture sia concettuali che fenomenologiche e farle coincidere con lo spazio e con l’animo umano, quell’animo vichianamemte “perturbato e commosso” come l’avvertiamo ai nostri giorni. E’ in questa unità di tempo-spazio che Tonina Garofalo cerca la sua sintesi espressiva, operando il legamento lirico di quegli “opposti” che si congiungono alla coscienza e alla natura, alla fede e alla ragione, sicché sia la parola che il segno pittorico diventano una struttura omogenea, anche se negli ultimi tempi l’unità si è aperta alla ricerca di una entità irrazionale, caratterizzata dalla speranza e dalla trascendenza.
Infatti nei “Versi della speranza” le venature religiose segnano il superamento dell’esperienza empirica, schiudendo l’animo ai moti interiori e spirituali, per cui la “iusta propria principia” di Telesio non è più la natura ma la trascendenza. E dal momento che l’opera di Tonina Garofalo questa sera viene apprezzata per le sue qualità pittoriche, anche se da esse non possono essere escluse le qualità liriche, possiamo confermare che il segno conduttore per raggiungere l’unicità e specificità dell’arte è da rintracciare nell’uso visionario della luce che, filtrando la materia cromatica, si allontana dal colore locale o naturale e ne scopre la trasparenza interna e segreta.
E allora è qui che l’unità pittorico-lirica di Tonina Garofalo, mentre si lega ai due poli del significato e del significante, dal momento che non esiste una forma tecnicamente perfetta che non esprima nulla (diceva Mallarmè che non si scrive un sonetto solo con le parole), nel contempo la sua opera si salda ad una speranza di fede per gli uomini rissosi del nostro tempo e che con Paolo di Tarso possano dire: “Combattuta la buona battaglia ho conservato la fede”.